OBELISCO IN RICORDO DELLO SBARCO DI CARLO PISACANE


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Vista dalla villetta che ospita l'Obelisco, di fronte alla spiaggia di San Francesco

Nacque a Genova nel 1857, l’idea voluta da Mazzini, Fanelli, Nicotera e Fabrizi di una spedizione rivoluzionaria antiborbonica. Fu così che, Carlo Pisacane, d’accordo con il Comitato Napoletano, decise di sbarcare a Sapri.  

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Già durante il mese prima dello sbarco, erano in circolazione monete d’oro e d’argento con l’effige di Luciano Murat (figlio di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte,sorella di Napoleone Bonaparte) ed iniziavano ad apparire delle scritte sui muri di Sapri che recitavano: “Viva Luciano Murat re di Napoli” “Viva la Repubblica napoletana” “Viva il governo francese” “Muoia il tiranno Ferdinando II”. Alle 8 di sera del 28 giugno 1857, la nave chiamata “Cagliari” gettò l’ancora nel tratto di mare che bagna la spiaggia dell’Oliveto, dove ora si trova l’attuale cimitero. 
Ci furono però delle vicende negative che portarono la “Spedizione di Sapri”  al totale caos. Non a caso infatti, il 26 giugno Pisacane sbarcò dapprima a Ponza, dove sventolando il tricolore, riuscì a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici, per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Si iniziò dunque a spargere la voce nel paese che, tra alcuni detenuti politici, fosse stata liberata anche una banda di ergastolani.  Tutto ciò avrebbe consentito non solo alle autorità di aizzare le umili popolazioni contro il Pisacane, ma queste, al momento di combattere, si sarebbero unite alle truppe Regie attirati dalle promesse di ricompense in denaro che erano loro state fatte: 2000 ducati a Sanza e 300 a Torraca, poi ridotti a 30. 






La nave Cagliari era stata seguita già dalle prime ore del mattino dal giudice del mandamento di Vibonati  Gaetano Fischetti che, non potendo dare l’allarme poiché l’unico telegrafo di Capitello era inutilizzabile a quell’ora, tentò di riunire alcune truppe a Sapri e facendo loro giurare fedeltà al Re, li mandò incontro ai rivoltosi che stavano sbarcando sulla spiaggia dell’Oliveto, punto indicato dal Nicotera, nei pressi della casa degli Stoppelli (la casina bianca di fronte all’attuale centro commerciale).


OBELISCO E VEDUTA DEL LUOGO - FOTO D'EPOCA




Giuseppe Gallotti, preso il comando degli urbani al posto di Vincenzo Peluso (che fece uccidere Costabile Carducci nel ’48 e che fuggì a Sala Consilina con il nipote Annibale), ne portò undici all’oliveto del Fortino, dove però otto di loro furono accerchiati e fatti prigionieri. Soltanto Giuseppe Gallotti e altri due riuscirono a salvarsi, i fratelli Domenico e Giuseppe Montesano. Questi ultimi, che erano impiegati del telegrafo di Scialandro, erano stati i primi ad accorgersi della nave Cagliari approdata all’Oliveto e una volta arrivati al luogo dello sbarco furono scoperti dai rivoltosi ed arrestati. Riuscirono a liberarsi solo ore dopo, durante la notte per lanciare il primo allarme. Così alle undici di sera a Sapri si diffuse la notizia che i rivoltosi volessero invadere il paese e, generando terrore e panico, i popolani iniziarono a fuggire nelle campagne circostanti.  
Il Fischetti, fuggito a Torraca fa trasmettere al Re, messaggi con richieste d’aiuto. Nel frattempo Carlo Pisacane, a Sapri, si reca a casa dei Gallotti dove trova solo i fratelli Emanuele e don Filomeno che gli comunicano che il padre e gli altri due fratelli si trovano al Fortino. Il gruppo più attivo guidato da Nicotera e Falcone, voleva vendicarsi nei confronti del capo urbano Vincenzo Peluso, uccisore di Costabile Carducci, ma questi, era già fuggito a Sala e non trovandolo, appiccarono fuoco alla porta casa.


La baia di Sapri dalla piazzetta dell'Obelisco
  
Tutti questi avvenimenti impaurirono la popolazione tanto che, la notte del 29 giugno, non fu per niente accogliente nei confronti della massa guidata dal Pisacane. 
Al contrario però, la banda dei rivoltosi trovò Mansueto Brandi che medicò la ferita del “Colacicco”, uno di loro, incitando gli altri popolani rimasti a sposare la causa del Pisacane. A casa dell’ Arciprete Nicola Timpanelli, fu offerto loro pane e formaggio; si recarono poi a casa del sindaco Leopoldo Peluso con l’intenzione di appiccare un incendio, ma non riuscirono a trovarlo perché anch’egli fuggito. 
La mattina del 29 Pisacane decide così di lasciare Sapri e risalire a Torraca sostenuto dall’instancabile Mansueto Brandi nel rassicurare la popolazione in preda alla paura. 
A quel punto a Corte, era già arrivata la notizia e il Re aveva inviato squadre repressive. Fu così infatti, che la nave Cagliari, appena superato il Capo Palinuro, fu catturata e sei compagnie di cacciatori provenienti da Salerno si misero in marcia verso la cittadina. La mattina del 30 giugno, a Sapri, sbarcarono le stesse truppe di Gaeta delle fregate Fieramosca e Tancredi che avevano catturato la nave Cagliari, poche ore prima e, più di seicento cacciatori comandati da Marulli, marciarono verso Sala Consilina per andare a scontrarsi con i TRECENTO a Padula il primo luglio, dove vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegnati ai gendarmi.  


Alcuni di loro, i superstiti, tra cui anche Nicotera, Falcone e il Pisacane riuscirono a fuggire a Sanza, dove furono per l’ennesima volta aggrediti dalla popolazione. Qui, morirono in 83. Pisacane, molto probabilmente, morì a causa di un colpo del sotto-capo urbano di Sanza, Sabino Laveglia, che lo ferì al fianco sinistro. 
Si seppe dopo che, Falcone si suicidò con la sua pistola e che, gli altri scamapti all’ira dei contadini e popolani, furono catturati. 
Nel gennaio del 1858 i superstiti furono processati. Dapprima condannati a morte,  successivamente graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo. 
Nicotera, fu di seguito liberato da Garibaldi durante la “Spedizione dei Mille”; diventato importante uomo politico dell’Italia Unita, fu portato  gravemente ferito in catene a Salerno, luogo in cui fu processato e condannato a morte. Pena anche per lui, trasformata in ergastolo grazie al governo inglese preoccupato per la furia repressiva di Ferdinando II delle Due Sicilie. 
Dieci anni dopo la morte del Pisacane e la fine della Spedizione, Giuseppe Lazzaro,  uno dei dirigenti del Comitato liberare clandestino commenta con parole molto dure:

« Le uccisioni e le ferite fatte barbaramente, all'uso de'cannibali. La parte maggiore in tali scene di sangue fu dovuta a gendarmi, alla guardia urbana, e contadini. Tra questi anche le donne si videro precipitarsi come belve inferocite su disbarcati, ad alcuno de' quali fu data la caccia su pe'monti come a fiere, e trucidato barbaramente. A quella popolazione poco o nulla culta fu dato ad intendere che si trattasse di briganti, di ladri, di pirati che scendevano a rubare ed a saccheggiare. Le arti più nefande da parte delle Autorità furono aggiunte al piombo ed alla baionetta ; talchè da que'valorosi si ebbe a lottare non solo contro le forze ordinate del Governo, ma contro i pregiudizi e gli errori di tutta intera una popolazione. In simili condizioni i trecento di Sparta non avrebbero potuto difendere il passo della Termopili »

Ogni anno, nel mese di agosto, si tiene a Sapri, la rievocazione storica dello Sbarco di Carlo Pisacane, la giornata conclusiva del 2 luglio 1857 e della tragica spedizione dei Trecento, commemorati nella poesia della Spigolatrice di Luigi Mercantini: “Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti”. 


Molti sono i figuranti in abiti d’epoca che danno vita al corteo storico che si snoda fra le vie della città per arrivare a Largo dei trecento, punto simbolico di attracco della nave di Pisacane in cui viene deposta una corona di alloro e celebrata una funzione religiosa. Dopo questo momento solenne, il corteo riprende il cammino per concludere l’itinerario. 


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