POMPEI


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Posta nella tratta Torre Annunziata-Sorrento, la stazione di Pompei Scavi, gode anche di interscambi autobus e taxi per rendere più agevole il trasporto ai turisti e visitatori. 
Molto probabilmente Pompei fu fondata dagli Osci, intorno all'VIII sec a.C. i quali si insediarono in 5 diversi villaggi e, proprio da quel numero 5 deriverebbe il nome Pompei, in lingua osca. Tra il IX e il VII sec. a.C. l'intera area era un centro commerciale molto importante e per questo, territorio ambìto da greci, sanniti ed etruschi, fino a quando fu definitivamente conquistata dai Romani, cosicché Pompei, grande produttrice di vino e olio, riuscì ad esportare i suoi prodotti fino in Spagna e in Provenza. La città, nel corso dei secoli, si romanizzò a tal punto che sia architettonicamente che istituzionalmente, divenne molto simile alla stessa Roma, dal momento che molte famiglie favorevoli alla politica di Augusto si trasferirono qui, facendo costruire numerosi edifici. Sotto Nerone, la Campania subì ingenti danni a causa del terremoto del 62 a.C. e così il Senato ne ordinò la ricostruzione che, purtroppo servì a ben poco perché l'eruzione del Vesuvio del 
79 d.C, durante un'afosa notte di agosto, cancellò completamente le città di Pompei, Oplonti, Ercolano e Stabia.



Tra le diverse domus che sono state ritrovate, abbiamo le loro stanze, cucine, triclini, peristili con annesso giardino, fontane, botteghe, pergolati e magazzini appartenenti talvolta all'alta società, talvolta al ceto medio. Esistevano le grandi domus dei ricchi patrizi, abitazioni più piccole per la gente comune, ed infine le pergule destinate ai commercianti che utilizzavano quegli spazi ridotti sia come abitazioni che come botteghe. Tra le ville ricordiamo quella di Diomede, collocata nei pressi di Porta Ercolano e che deve il suo nome al ritrovamento di una tomba appartenente a Marcus Arrius Diomedes; la Villa Imperiale nella zona di Porta Marina, in cui è stato ritrovato il triclinio più grande mai rinvenuto a Pompei; la Villa di Giulia Felice dal cui triclinio (una vera e propria grotta), sgorgava dell'acqua che terminava nel grande giardino, grazie ad un articolato sistema di cascate.
Tra le diverse case rinvenute, riportiamo solo alcuni dei numerosi esempi presenti nella città antica: la Casa del Poeta Tragico con al suo interno affreschi di scene teatrali (da cui la casa prende il nome) e in cui è stata ritrovata l'iscrizione "CAVE CANEM"(attenti al cane); la Casa del Chirurgo, forse la più antica ritrovata a Pompei, chiamata così per i numerosi ritrovamenti di oggetti medici, bisturi e sonde; la Casa del Forno in cui sono presenti ancora il forno, le macine e la cucina. Molte sono le ville, gli edifici pubblici tra cui la Basilica, il foro, le terme, l'anfiteatro, i templi, le attività commerciali e purtroppo i vari corpi disseminati per la città, ma a destare interesse e stupore è sicuramente uno dei luoghi più ammirati e visitati di Pompei: La Villa dei Misteri.


LA VILLA DEI MISTERI



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La Villa dei Misteri (inizialmente chiamata Villa Item), si trovava fuori dalle mura cittadine ed era utilizzata (dopo il terremoto del 62 d.C.) per la trasformazione di prodotti agricoli, mentre la zona residenziale, colpisce per il lusso e i comfort che si trovano all'interno. Grazie ad un sigillo ritrovato, conosciamo il custode della villa, un guardiano definito "procurator", un certo Lucio Istacidio Zosimo, e grazie all'archeologo Amedeo Maiuri, furono riprese le opere di scavo della villa suburbana.
La villa prende il nome da un ciclo pittorico (megalografia) lungo 17 metri e alto 3, che si trova all'interno del triclinium, locale in cui era servito il pranzo ed in cui si poteva conversare serenamente, ad opera di un artista ancora oggi sconosciuto. Questo  rappresenta le fasi di un rituale misterico, ovvero una forma di rito religioso attraverso cui un individuo passa da uno stato all'altro, diventa una persona nuova. Varie ipotesi sono state fatte riguardo la lettura dell'affresco; ad oggi, nessuno ha saputo darne il reale significato, dunque la seguente descrizione, è semplicemente una probabilità, come molte altre. 
In questo caso, la protagonista del mistero è una fanciulla che, molto probabilmente dovrà ben presto sposarsi o semplicemente il rito dovrà servirle come passaggio dall'adolescenza all'età adulta, non ne abbiamo la certezza, forse entrambe le cose. 


Il rituale ha inizio con una piccola bambina nuda che ha le spalle leggermente sollevate e ristrette; sembra quasi impaurita mentre legge le formule rituali dionisiache, ed una sacerdotessa, che siede dietro di lei, ha in mano un rotolo che forse conterrà la lista delle persone che già hanno attraversato la loro "iniziazione" . A sorvegliare la vicenda sulla sinistra, si trova un'anziana matrona, che scruta la vicenda con attenzione tenendo il braccio destro appoggiato sul fianco, con atteggiamento inquisitorio. Un'ancella sulla destra, guardando verso l'osservatore, porta una cesta tra le mani contenente un ramoscello d'alloro e probabilmente il drappo viola e bordato in oro che si vedrà nella scena successiva.  Compare qui infatti la nostra fanciulla di spalle, ormai cresciuta, la quale stringe nella mano destra il ramoscello d'alloro che l'ancella portava in dono nella scena precedente e solleva con la mano sinistra, invece, proprio un drappo viola. Sulla destra, una figura femminile che ha una corona d'alloro sulla testa e dalle orecchie allungate, forma tipica di quelle dei satiri, porge dell'acqua in una vaschetta e che al bordo della veste, stretta ai fianchi, porta una pergamena, di cui spunta solo la parte superiore (la stessa che la fanciulla leggeva da bambina e che conteneva insegnamenti dionisiaci). Procedendo poi, per la prima volta nell'affresco, compare la figura mitologica di un Sileno barbuto che suona una cetra fatta con corna di antilope e che ha sulla testa una corono di mirto. Tutta la scena, è molto probabilmente frutto dell'immaginazione della giovane fanciulla, spaventata da tutto ciò a cui dovrà andare incontro, nonostante ogni singolo dettaglio, sia un chiaro riferimento alla dimensione dionisiaca: il satiro, il sileno, la capra che è simbolo di accoppiamento. La ragazza ha la paura sul suo viso, il velo la ricopre solo per metà perché non vuole vedere quello che la aspetta. Vede a questo punto, un altro sileno che ha in mano una coppa in cui si specchia un giovane satiro adepto, impaurito da quello che vede. Dietro di lui c'è infatti un altro satiro che ha in mano una maschera spaventosa. Probabilmente egli si specchia e vede quella maschera, osserva in realtà se stesso ormai già vecchio, vede in sostanza la sua morte, richiamando il ciclo di vita, morte e rinascita. Ciò che si sta praticando in questo momento, è l' "oinomanzia", ovvero  la lettura dei fondi del vino, finalizzata a predire il futuro; questo è ampiamente evidenziato dal fatto che il satiro, ha la pupilla fissa sul fondo del vaso, riponendo un' estrema attenzione a ciò che si trova al suo interno. Questa pratica largamente utilizzata dai romani, verrà tramandata in epoche successive, tramite la lettura dei fondi di the e di caffè.


A dominare poi, il centro del rituale, compare Dioniso, dio dell'ebrezza e della sensualità abbandonato in grembo ad una figura femminile cancellata dal tempo, forse Afrodite (dea della bellezza e dell'amore), forse la sua sposa Arianna. La giovane fanciulla, ora è quasi completamente nuda in atteggiamento dimesso ed accanto a lei si trova una figura munita di frusta e dallo sguardo contrariato, quasi disgustato, probabilmente una "Lara", una divinità custode delle virtù appartenenti all'epoca etrusca, preposta all'attività sentimentale e sessuale regolare e alla salvaguardia dei canoni morali, a cui la protagonista del mistero, sta venendo meno. Ella rappresenta una divinità positiva, non a caso è l'unico personaggio alato, la quale minaccia la fanciulla con la frusta per farla desistere dalle sue intenzioni, ovvero scoprire l'organo genitale maschile coperto dal velo.
Dopo questa fase del racconto, la ragazza si abbandona alle lacrime in grembo ad una sacerdotessa con una corona di foglie che le cinge la testa, nell'atto di accarezzarle i capelli. La protagonista non è disperata per essere stata frustata, ma molto probabilmente perché già dall'inizio del suo percorso, si sta consacrando a Dioniso, contro la sua volontà. Troviamo poi due figure femminili alla sua destra: la prima ha in mano il tirso, il bastone di Dioniso, testimonianza dell'avvenuta iniziazione, mentre l'altra, che suona i cimbali, ha indosso solo un drappo color oro, lo stesso che si trova incastrato tra le braccia della fanciulla disperata sul lato sinistro, e sulle gambe della sacerdotessa. Questo fa presupporre che la figura femminile sia la stessa; la stessa che ha abbandonato il velo viola che aveva addosso nelle precedenti fasi del racconto e che ora espone il suo corpo danzante e completamente nudo, abbandonata alla triste realtà che ora debba rendersi disponibile a chiunque voglia godere di lei. A questo punto, vediamo la giovane donna finalmente seduta su di uno sgabello che pettina i suoi capelli con l'aiuto di un'altra donna. Accanto a loro, un piccolo Eros, dio dell'amore, tiene uno specchio per farle vedere che ormai il rito è compiuto e lei, purtroppo o per fortuna, è una persona nuova, ormai cresciuta; una donna matura pronta a tutto ciò che la aspetta. Molti riconducono il personaggio finale di tutto il ciclo pittorico, la matrona seduta sul suo trono, alla vera padrona della villa, la "Domina" che osserva ed accompagna la giovane inizianda, durante il rito, anche conosciuta come l'imperatrice Livia Drusilla (o Giulia Augusta, poiché seconda moglie di Ottaviano Augusto).



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